Chi volesse contribuire inviasse materiale a Gabriele Albarosa 84-87
…e se un dì…cliccate e ascoltate…
E ancora: Giuramento IDEALE
Dalla Commedia dell’Allievo di Gabriele Albarosa 84-87
[…]
Per questo evento, giunti a far da bàlia,
Un’orda di ex-Allievi, d’ogni donde
E d’ogni quando, incede e tutti ammàlia
Mentr’essa si riversa come l’onde
Ovunque, nei recessi del Maniero;
E al tal che chiama, il tizio che risponde
Accorre e poi, con sentimento vero,
Abbraccia, impreca e bacia e si commuove;
Un “nostos” che somiglia a quel d’Omero,
Partenope, non Itaca il suo “dove”.
[…]
“L’Echia ossia Pizzo Falcone resta in mezzo a lunghissimi filari d’ olmi e di viti dall’arte in modo castigati e curvi, che sospendono cocchi assai sfogati e tessuti di mollissima verdura, e gittan ombre misteriose e care agli amanti sugli opportuni sedili. Quando poi sono accese le lampade lo spettacolo è ancora più bello, e sbaglieresti per la Galassia in terra quel sì proteso scintillare da una parte e dall’ altra. Arroge la musica, il passaggio delle barchette, i lumi de’ pescatori e quelli delle case, e la prospettiva che la piena luna fa scorgere in vaporose lontananze di Capri, e del lido Sorrentino, onde direi che il nome di Campi Elisi più di ogni altro conviene a questa fortunatissima sponda…!”
(Giornale del Viaggio di Napoli negli anni 1789 e 1790 del Conte Carlo Castone della Torre di Rezzonico)
Ricordo del 18 Novembre – di Renato Benintendi 73-76
…troppo dura, non ce la faro’ mai! Troppo forte il richiamo di casa, il ricordo della famiglia, troppi giorni passati qui dentro senza uscire, il mondo solo un lontano rimpianto. Mi dolgono i piedi, questi maledetti cerotti che si muovono sotto le ghette, durante le estenuanti prove all’ Albricci. “Il perno e l’ ala”, “la conversione”, “l’ attenti a destr!”, stupidi incomprensibili slogan del tenente. Sembra quasi primavera in questi primi giorni di novembre, il cielo sgombro di nubi, l’ aria secca, lontano il vociare di una citta’ che ancora non conosco, recluso come sono ormai da settimane nel recinto di Pizzofalcone e nelle piste dello Stadio Albricci.
Domani e’ il 18 Novembre, prima libera uscita, la pratica da sbrigare velocemente all’ Arenaccia, poi finalmente casa. Il silenzio della notte rotto dalla sveglia gracchiante, con la puntina sul disco che non e’ mai cambiata dai tempi di Pisacane. Salto come una molla dal letto a castello e indosso, per la prima volta dopo le prove dal sarto, la mia divisa, le ghette, il cinturone, e passo dall’ armeria dove il compagno winchester M15 semiautomatico pare mi faccia l’ occhiolino, mentre mi porge la baionetta che ripongo nell’ immacolato fodero infilato a mo’ di cimelio di guerra nel cinturone. Dal cortile giungono le note della batteria tamburi, che strano, mai il suono mi era parso cosi’ limpido e sincrono, mai cosi’ bella la musica. Mi affaccio, il mazziere rotea in aria la sua alabarda con la disinvoltura di un direttore d’ orchestra, conduce senza incertezze quel manipolo d’ arte e di giovinezza. Strano, non riconosco il viso noto delle cappellacce, degli anziani e anzianissimi nel drappello, confuso forse nell’ articolato svolgersi del variopinto cordone e nella policroma bellezza degli strumenti. Sono qui da poco piu’ di un mese eppure quei visi che sfilano sotto il mio sguardo di novizio mi sembrano quelli degli allievi di sempre. Che cosa mi succede ora? Mi sembra di essere un veterano mentre salgo senza indugio sul CP, destinazione Arenaccia. Lungo il percorso che da Pizzofalcone ci porta verso lo stadio militare, Napoli mi sembra oggi seguire con affettuosa attenzione il nostro viaggio di giovani soldati. Dai balconi, dagli altarini dei vasci, dai caffe’ ancora pressoche’ vuoti, la citta’ saluta con familiare consuetudine i suoi piccoli legionari, in un abbraccio mai terminato dal 1787. Un brivido mi corre lungo la schiena, ora che facciamo il nostro ingresso nello stadio e prendiamo posto nei ranghi. Lontano sugli spalti indistinguibili impossibile riconoscere chiunque, eppero’sappiamo che lassu’ qualcuno ci ama. Lente le note del CANTO DELL’ ADDIO si levano sulle compagnie sfilanti, e quel canto impareggiabile e senza incertezze sembra provenire dal coro piu’ esperto del San Carlo. Sono loro, gli ex allievi. Ora comprendo e divento parte inscalfibile della loro storia. Mentre in un abbraccio totale le compagnie di ex allievi si uniscono alle nostre prima dell’ ultima sfilata, non riesco a capire come quella accozzaglia di divise, abiti borghesi e barbe incolte riesca in evoluzioni di marcia migliori delle nostre, allineati, coperti, con il perno serrato come una trivella petrolifera e l’ ala che ruota come una lastra di granito tagliata a misura. Come avranno mai fatto, diavoli di ex allievi? Si saranno esercitati in incognito per insegnarci a diventare grandi. Ora il mazziere lancia il suo trofeo in alto, nel cielo di Napoli: li’ le nuvole si sono diradate ed il sole, tornato a risplendere sul golfo, ora sorride!
Da Loro di Napoli, di Renato Benintendi 73-76
IL CORTILE PICCOLO
…nessun altro spazio, area, luogo della Scuola e’ rimasto nei secoli esattamente lo stesso come il Cortile Piave o Pianetto Piccolo…insomma il Cortile Piccolo, termine solo apparentemente riduttivo con cui con criterio metrico lo si distingue dal piu’ frequentato Cortile Grande, che ha invece subito completamenti, rimaneggiamenti, innalzamenti …Eppure questo spazio quasi abbracciato dai muri irregolari dell’ antico noviziato, conserva intatte forse per questo vicende e storie che nessuna cerimonia pubblica potra’ mai rappresentare, nessuna ricorrenza potra’ mai commemorare, nessuna circolare potra’ mai cancellare…Il Cortile Piccolo, a parte rari e fugaci momenti concelebrativi o mondani, rimarra’ per sempre il mare della Scuola, perche’ verso di lui confluiscono le scalette, lo scalone, persino i sotterranei, e con essi la sua intera vita …Su di esso affacciano le finestre delle camerate dove impenitenti anziani snobbavano distrattamente affacciati le adunate del mattino, a battaglione schierato… ammettono le grate dei sotterranei, il portone della chiesa…sul suo dimesso selciato si sono svolte le piu’ meravigliose e inenarrabili vicende di vita di migliaia di allievi, quelle che nessun diploma, certificato o RI potra’ mai riferire…Le beffe efferate delle incursioni, le adunate serali degli inverni piu’ rigidi, avvolte in mulinelli di vento freddo, e quelle delle primavere del cielo azzurro di Napoli…La consegna di centinaia di testimonianze d’ affetto e di tradizione, fatte di spadini, papielli, stecche, due pizzi…Se in silenzio ne percorri i pochi metri quadri nelle sere d’estate potrai sentire ancora le note del CANTO DELL’ ADDIO e scorgerai decine di piccole fiamme disposte a N…Attorno a te ti sembrera’ di vedere migliaia di visi che ti guardano con lo stesso sorriso affettuoso di allora…e ti sbaglierai, perche’ essi… saranno li’ per davvero…!
Vado al raduno, donna.
Mi metto in testa questo cavolo di due pizzi – se mi entra ancora – e vado al raduno.
Vado a ripensare scarpe da lucidare e brande da allineare
E acqua fredda al mattino
E docce che Esposito dispensava con parsimonia
E anziani prepotenti, cappelle invertebrate e cappelloni da martirizzare
E viaggi in treno più lunghi delle vacanze verso le quali portavano
E libere uscite più brevi del tempo per goderle
E domeniche di consegna passate a giocare col biliardo e coi pensieri
E un sonno fatto di sveglie con la luna nel cielo
E sogni di ragazze che mai più avrei rivisto
E pasta scotta, e biscotti fregati
E disciplina a volta ottusa
E notti in cella senza lacci alle scarpe
E freddo, e buio, e danaro contato
E voglia di casa
E voglia di calore
E voglia di amore.
Sì, donna, forse son matto.
Ma vado anche a ritrovare i diciott’anni che non ho più smesso di avere
E il futuro di luce che avevo e che ho ancora
E quest’orgoglio tranquillo di esserci stato, che non vuole invecchiare
E compagni malati della stessa pazzia, su cui puoi contare
E qualche scarno valore da ficcare in testa a mio figlio
E una luce che ho accesa nel cuore
E me stesso.
Ecco perché vado al raduno, donna.
Mi metto in testa questo cavolo di due pizzi – se mi entra ancora – e vado al raduno.
-18 Novembre , 230 anni di storia
Ferdinando Scala 84-87
Mancano cinque giorni al Giuramento, e solo oggi ho trovato il modo di scriverti.
Lo faccio perché tu capisca, almeno un po’. Lo faccio perché tu sia più serena, almeno un po’.
Non credere che io non veda. Non credere che io non capisca. Lo sento il tuo sguardo che mi trattiene la nuca mentre cammino verso la Soglia. La vedo quella ruga al lato della bocca, quella che non hai mai avuto, e che parla della smorfia amara che fai quando vado via. Ti sento entrare nella mia camera quando sembra che io stia dormendo, in quei fine settimana in cui sono a casa. Non è facile per te accettare che io sia per la prima volta altrove, lontano, fisicamente e spiritualmente.
Ma vedi, io non posso spiegarti perché il tuo viso che si gira verso di me quando saliamo in macchina mi appaia straniero senza esserlo. Non posso spiegarti perché vederti preparare le mie camicie kaki mi fa desiderare che tu faccia presto, per poter andare. Non trovo le parole adatte per dirti quelle verità che prima di conoscere quelle mura sentivo per istinto, ma che una volta lì, mi sono esplose nell’anima.
La verità è che io sto lì per te, principalmente per te. Perchè se non fosse stato per tutto quello che mi hai dato, io non avrei voluto fare questa scelta. Se non fosse stato per i tuoi insegnamenti, non avrei sentito il coraggio morale di lasciare tutto alle spalle. Se non fosse stato per le tue parole, non avrei sentito il dovere di essere quello che sono.
Ho scelto di essere il più giovane dei soldati. Ho scelto di legarmi ad una Fede in un mondo che non ne ha. Ho scelto di abbracciare dei fratelli in spirito. Ho scelto di considerare l’Essere come pilastro della mia vita. Ho deciso che, costi quel che costi, io difenderò sempre i Valori che tu mi hai insegnato ad amare.
Perciò sii paziente, sii serena, sii orgogliosa. Quando verrai a vedermi, mi riconoscerai tra le centinaia di miei fratelli. E quando alzerò la mia mano al cielo, tu saprai che in quella promessa c’è un pezzo enorme di te.
Ci vediamo sabato mattina, mamma.
Il trentennale
Di Alberto Fontanella Solimena (66-69, 179°) da “I cadetti di Pizzofalcone”).
Sono passati già trent’anni da quando siamo entrati alla Nunziatella. Rispetto al ventennale c’è un’importante novità: abbiamo deciso di fare il raduno il 18 novembre, giorno della fondazione della Scuola, così possiamo partecipare, tutti assieme, ai relativi festeggiamenti.
Siamo allo stadio Albricci, lo stesso dove abbiamo marciato da allievi trent’anni or sono, per la cerimonia del Giuramento. Ho un’idea brillante: al momento della resa degli Onori alla Bandiera il mio Corso si schiererà separato dagli altri ex allievi, formando una compagnia a sé stante.
Ho chiesto al nostro Tenente dell’epoca, che è ancora in servizio alla Nunziatella col grado di Tenente Colonnello, di far dare allo speaker ufficiale della manifestazione un avviso che ci riguarda.
E infatti, quando iniziamo a sfilare, dagli altoparlanti giunge l’annuncio: Sfila ora una compagnia formata dagli ex allievi del Corso 66-69 che festeggia il suo trentennale. Mentre ci avviciniamo alla Bandiera penso soddisfatto: «Forse è la prima volta che un Corso sfila in autonomia dagli altri ex allievi, che bello!» Poi gli Onori alla Bandiera, con la solita sensazione di orgoglio e nostalgia, rafforzata dall’essere assieme ai miei compagni di Corso, che arriva al suo culmine con l’Attenti a dest’ davanti alla nostra Bandiera.
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