A leggere il titolo uno pensa subito al sequel di Toto’ d’Arabia o a un riarrangiamento di Caravan petrol dell’indimenticabile Carosone (ricordate vero? “… quant si’ bell’ a cavall a stu cammell..“). E invece no, gli ex allievi di Napoli in Arabia (piu’ precisamente negli Emirati Arabi Uniti, fra Abu Dhabi e Dubai) ci sono arrivati sul serio e costituiscono un gruppetto relativamente nutrito (almeno 4 quelli stabilmente residenti e “censiti”, vari altri quelli che frequentano regolarmente e assiduamente gli UAE per interessi professionali o personali ed infine qualche imboscato, che non manca mai).
Per elencarli non si puo’ che iniziare dal nostro Ambasciatore, Giorgio Starace (73/77), che si prende cura ed anima la comunita’ italiana con piglio e pazienza da “Caposcelto”, facendoci sentire tutti un po’ piu’ a casa. Seguono poi in rigoroso ordine di anzianita’ Maurizio Balestrieri (74/78) e Alberto Nencha (77/80), che negli Emirati hanno portato, fra le altre cose, l’ottimo cibo italiano (chissa’ che le tante pizze consumate fra i Quartieri Spagnoli e il Vomero non li abbiano ispirati) ed infine Eugenio Santagata ed il sottoscritto Gianluca Trezza (entrambi 89/92) a rappresentare l’Industria italiana della Difesa dopo qualche anno speso in Italia con le stellette.
Ma cos’e’ che ci ha portato e ci trattiene, insieme ad altri 5000 connazionali, in un Paese che non e’ proprio dietro l’angolo sia geograficamente che culturalmente rispetto all’Italia? Ovviamente ognuno ha la sua storia e le sue motivazioni, quindi qui provero’ a raccontarvi cosa IO amo di questo Paese e perche’ i 7 anni trascorsi in UAE sono stati uno dei periodi piu’ intensi e formativi della mia vita (oltre al triennio napoletano s’intende!).
Innzitutto la “diversity“, l’estrema varieta’ che contraddistingue ogni aspetto della vita del Paese: dei circa 5 milioni che abitano gli Emirati, i locali rappresentano a mala pena un quinto. Gli altri siamo “noi”, gli expats, lavoratori piu’ o meno provvisori che portano qui, oltre alle loro professionalita’ e conoscenze (o alla peggio un paio di braccia da lavoro, come molti workers provenienti dal Subcontinente), anche le loro culture, abitudini, cibi, religioni. Cosi’ si genera un vero e proprio melting pot: una citta’ grande come un quartiere di Roma o Milano dove coesistono pacificamente e cooperano efficacemente TUTTE le nazionalita’ del mondo. Un posto dove, per dire, a qualsiasi attivita’ si prenda parte, sia essa ludica o lavorativa, ci si confronta SEMPRE con il diverso e la prima domanda con cui si rompe il ghiaccio e’ sempre la stessa” “where are you from?“. C’e’ un’immagine nella mia mente che rappresenta meglio di ogni altra questo concetto: e’ l’open space della banca dove ho il mio conto corrente. Qui seduti a scrivanie contigue vedi il local con il suo candoora bianco che dicute con il collega europeo in grisaglia; piu’ in la’ la contabile nordamericana fasciata in tallier al ginocchio che fa una pausa alla macchinetta del caffe’ con la collega emiratina in abbaya nera e quella indiana nel suo coloratissimo sari. Tutto questo e’ reso possibile da una cultura dell’ospitalita’ e della tolleranza declinate in chiave smart e pragmatica (fino a quando sei utile a questo Paese, non importa da dove vieni, di che colore hai la pelle o quale Dio adori, sei il benvenuto!) che hanno fatto di Dubai e Abu Dhabi due capitali globali della nostra epoca.
Se la diversity ti colpisce fin dai primi giorni di permanenza negli Emirati, un altra caratteristica che amo di questo Paese richiede piu’ tempo per essere apprezzata e metabolizzata: la sicurezza, che qui cessa di essere soltanto una condizione sociale (assenza del fenomeno criminale) e diventa piuttosto un abito mentale che si traduce in una costante fiducia nel prossimo. Come accadeva fino a qualche anno fa in qualche nostro paesino di provincia, ad Abu Dhabi puoi lasciare la porta di casa aperta se aspetti qualcuno, la macchina accesa se devi scendere a comprare qualcosa al volo, i bambini a scorazzare in strada fino a tardi e via andando in un crescendo di LIBERTA’ che in Occidente abbiamo dovuto dimenticare, barattate con un po’ di protezione in piu’. Bhe’, il senso di leggerezza che cio’ conferisce alla vita di tutti i giorni e’ indescrivibile e per quanto mi riguarda vale da solo la scelta di essere venuto a vivere qui con mia moglie!
Infine – last but not least – la leadership, senza la quale tutto cio’ di cui ho parlato finora probabilmente non ci sarebbe. E’ la vera ricchezza degli Emirati, la vera benedizione di cui godono dal 1971, anno della Fondazione. Gli Emiratini non eleggono i propri leaders, che si succedono in via dinastica nell’ambito delle famiglie aristocratiche che da secoli guidano le tribu’ che popolano questo angolo della Penisola Arabica. Eppure la sorte li ha ha finora favoriti, regalandogli capi capaci, visionari e generosi, a partire dal Padre della Patria Sheick Zayed bin Sultan Al Nahyan di cui i figli Khalifa e Mohamed ancora oggi seguono l’impostazione illuminata e liberale. Senza di loro le riserve petrolifere, probabilmente, sarebbero state fonte di conflitto e tenzione e non piuttosto il motore di una economia che si diversifica e di un Paese che si modernizza a ritmi per noi inimmaginabili.
Tutto questo mi porta finalmente al consiglio dell’Anziano al Cappellone: cari ex-allievi neo laureati o neo dottorati, che vi trovate nella posizione di dover decidere come e dove iniziare il vostro percorso lavorativo: prendete in considerazione gli Emirati Arabi come punto di partenza per uno stage o un primo impiego: verrete sopresi da quanto questo Paese ha da offrirvi in termini di crescita professionale e personale (e tranquilli, non lo dico ad alta voce perche’ sono sposato e ormai fuori range …. ma ci si diverte anche un casino, soprattutto a Dubai..)
Non mi resta che chiudere con l’ovvio: semmai passaste da queste parti…fate un fischio!
Gianluca Trezza (89/92)
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